Gay & Bisex
(48) Venire in dodici minuti
di remigiuslp
15.06.2024 |
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"Arrivai a ‘durare’ interi quarti d’ora, senza mai rallentare l’alterno movimento sul mio membro - che fra parentesi apparteneva alla categoria ‘medio-massimi’..."
Si può avere un orgasmo in DODICI minuti? Anzi, meglio: in solo e sempre DODICI-minuti-DODICI? Prima di rispondere a questa domanda, non esiziale per la prosecuzione del genere umano ma certamente curiosa per Voi, pregiati lettori, credo sia utile una premessa; non breve, ampia!
La mia vita fu sin dal suo inizio caratterizzata - direi addirittura ‘tormentata’ - da questo numero e dai suoi multipli: DODICI.
Avrete già intuito la data di nascita: 24/12/36 - 1936 naturalmente. Peso: 3600 grammi. Attorniato da DODICI zie - tutte sorelle di mio padre -, altrettanti zii e DODICI cugini; inevitabilmente maschi. E indovinate un po’: tutti nati lo stesso mio giorno!
Insomma, una baraonda incredibile, a partire dal giorno del parto collettivo in casa - come allora si usava - e a seguire gli anni successivi, nella nostra ampia fattoria di tradizione plurisecolare, situata non distante da un grosso paesone di mezza montagna.
Fortunatamente lo spazio non mancava e nemmeno il lavoro: il terreno da coltivare era piuttosto vasto e il bestiame numeroso, per cui VENTIQUATTRO braccia in più sarebbero state molto utili. E così fu.
Crescemmo in un ambiente complessivamente sereno, cadenzato dall’avvicendarsi delle stagioni, come normale nel mondo contadino. A quei tempi tutti partecipavano all’economia familiare, per cui anche noi ragazzi dovemmo man mano svolgere compiti di vario genere e difficoltà, sia sui campi che nelle stalle.
Questa abbondanza di ‘manodopera’ portò benessere e una discreta ricchezza ma sopra tutto venne favorita dalla direzione saggia. illuminata e autorevole di mio padre. In base ad una Legge vigente dalle nostre parti, essendo primogenito maschio dei miei nonni, egli era l’unico erede effettivo, una sorta di padre-padrone. E questo potere tornerà evidente più avanti nella nostra storia.
Nominato borgomastro, egli si impegnò tantissimo per il bene e soprattutto la prosperità delle oltre duemila anime abitanti sia nel centro abitato che nelle varie fattorie più o meno grandi sul vasto territorio montuoso del nostro comune.
Fu sua la proposta - per allora assolutamente innovativa - e la successiva realizzazione - nel 1936 (!) - di una funivia, per creare un collegamento comodo, veloce e sicuro con la Città, posta ad un livello di oltre 900 metri più in basso rispetto a noi. E se l’impianto influenzò in modo determinante e assolutamente proficuo la vita di tutti, lo fece anche per la mia: ma non solo in senso positivo.
Considerato che questo racconto avrebbe finalità erotiche - e l’erotismo si basa spesso su gioco e tensione preliminari -, Vi terrò ancora un po’ sulla corda al riguardo di questa relazione ‘peccaminosa’ fra me e la Funivia.
Però, una prima ‘spolverata’ di pepe è ora necessaria.
Verso i DODICI anni, i miei DODICI cugini ed io, membri dell’autonominata ‘Brigata della Quercia’ cominciammo a scoprire - chi più velocemente chi meno - le classiche trasformazioni al passaggio dalla fanciullezza alla pubertà.
All’inizio dell’estate del 1949 - fate Voi eventualmente i calcoli della nostra età - il mio genitore fece radunare noi rampolli dove eravamo soliti riunirci, cioè la citata quercia, posta in mezzo ad una piccola radura poco lontana dalla fattoria in posizione defilata, per “spiegare una volta per tutte a voi monelli come funzionano certe strambe cosine che vi stanno capitando”. Coordinatore e mentore fu nominato lo zio più anziano con l’ausilio del parroco. Mio padre non volle partecipare - dichiarò - per “non influenzare lo svolgimento dell’adunanza”.
Fu una ‘orgia nell’erba’ indimenticabile, dove noi fanciulli perdemmo la nostra verginità ad opera dei nostri parenti e - pure - qualche bracciante di passaggio. Le monte e le trapanate si susseguirono fra gemiti e urla, inizialmente di dolore ma con lo scorrere delle ore sempre più di piacere e soddisfazione.
La quantità di sborra eiaculata incredibile, terminata direi equamente sull’erba del prato, in filoni più o meno densi sui visetti imberbi ovvero introdotta negli stomaci di noi virgulti teneri e freschi, per le calde boccucce oppure attraverso il canalino situato fra le candide e vellutate chiappette.
E invece - assai spiacente per i più maliziosi di Voi - l’avvedutezza e il pragmatismo di mio padre gli avevano suggerito di allestire quello che fu un assolutamente innocente e pulito corso di educazione sessuale. Né più né meno. Quel caldo pomeriggio ci fu spiegato in modo semplice ed equilibrato cosa stesse accadendo dentro di noi, ai nostri pisellini e quali fossero i relativi utilizzi, in particolare nei rapporti intimi fra persone di sesso diverso ma non solo... ad esclusivo titolo informativo, beninteso. In ogni caso incredibile, per qui tempi.
Apprezzammo tutti quella interessante ed esaustiva ‘conferenza’ che diradò molti nostri dubbi e ci aprì gli occhi su tanti aspetti a noi oscuri. Ci rimase però anche il dubbio che fosse stata organizzata in quanto al corrente di cosa già da tempo e regolarmente avveniva all’ombra del grande albero quasi tutto l’anno, salvo nei mesi più freddi.
Infatti, i pruriti dei nostri ammennicoli - chi pistoletta, chi totem - che provocavano con somma facilità irrigidimenti, portavano noi ragazzi a placarli - fino alla espulsione della celebre vischiosa pappetta - tramite sempre provvida e disponibile manina, improvvisate superfici su cui strofinarsi o ancora - i più ingegnosi - con improbabili ma funzionali accessori ad imitazione e surroga del mitico, vagheggiato ma sconosciuto pertugio femminino.
L’aver percorso il cammino di vita fin là tutti assieme, la notevole confidenza e un profondo cameratismo sviluppatosi negli anni fra noi ci facevano trovare spesso in quel luogo piuttosto riservato, dove iniziammo a masturbarci e liberarci dei nostri turbamenti in compagnia. Non si illuda il lettore porcello: nulla di scabroso o particolarmente peccaminoso. Erano pippette di adolescenti alle prime armi, certo talvolta anche con ausilio di dita ‘foreste’ ma nel complesso nulla più di quello che può essere il bagaglio di esperienze di tanti giovanetti.
Cioè, non esattamente. Almeno per quanto riguardò me.
Sento crescere l’insofferenza di vari affezionati lettori ma cominciamo ad avvicinarci al tema del presente racconto.
Orbene, quando mi trovavo assieme ai miei adorati cuginetti a raffreddare i bollori, solitamente tutti in piedi o al più inginocchiati, nascosti dietro al grande tronco della massiccia pianta, cominciai ad accorgermi che osservare le cupolette posteriori dei miei consanguinei nonché coetanei mi attirava assai e induceva in me una sorta di eccitazione ulteriore, diversa, tanto e sempre più intensa da ritardare la conclusione della sega. Arrivai a ‘durare’ interi quarti d’ora, senza mai rallentare l’alterno movimento sul mio membro - che fra parentesi apparteneva alla categoria ‘medio-massimi’. Al termine spruzzavo con grande violenza e abbondanza ma arrivarci era ogni volta quasi un’impresa.
Superato l’esame al termine della ‘popolare’, era nel frattempo venuto il momento di decidere se e come proseguire gli studi, non essendo allora obbligatorio farlo. Intervenne tuonando il consueto padrone di casa: “tutti hanno da raggiungere almeno il diploma della ‘principale’, leggansi altri tre anni. Ma questa scuola era presente solo in città: ecco, la funivia appena entrata in servizio cascava a fagiolo.
E qui inizia l’avventura, amici miei.
Sì, perché si presentò una condizione: la cabina poteva contenere un massimo di… di... esatto! DODICI persone. Più il vetturino, ovviamente, ma comunque uno di noi non vi poteva salire.
Per fortuna il dilemma si risolse rapidamente. Se fra noi cugini non ero il più dotato fisicamente, lo ero decisamente sul piano scolastico: sempre e comunque primo della classe. Il mio incisivo genitore ritenne quindi risolutamente di iscrivermi al ginnasio: istituto a conduzione ecclesiastica, rigida disciplina e regole ben delineate. Fra queste l’orario di inizio delle lezioni, preceduto da dieci minuti di attività fisica in cortile - con qualsiasi tempo e temperatura - per cui la presentazione all’entrata era anticipata di egual misura.
Sarei stato quindi io quello costretto ad accedere alla gondola precedente. Anzi, si dovette anticipare l’apertura del servizio. Non serve spiegare chi fece attuare questa variazione.
Torniamo quindi al tema iniziale: io vengo sempre e solo in DODICI minuti, sia che pratichi autoerotismo, davanti ad un catalogo di vendite per corrispondenza, guardando le foto di slip da bagno e intimo maschile - pensavate a reggiseni e mutande femminili, vero? - sia che cavalchi la mia bella e calda sposina oppure il mio segretario personale, gergalmente definito ‘portaborse’. Nella qual borsa - per precisione - oltre ai preziosissimi documenti, bozze di decreti e disegni di legge, custodisce in una sportina di cuoio tutto il necessario per una sana copula fra maschietti con successiva nettatura nel caso di ambienti non a ciò destinati: salviette, smacchiatore, ovviamente lubrificante, preservativi, collutorio e qualche perizomino colorato che mi eccitano tanto.
Cioè, devo fare una correzione, tanto per essere precisi: dal momento dell’inizio della stimolazione - mano, bocca oppure orifizio non importa - all’espulsione dei fiotti di liquido seminale i minuti sono undici più quarantacinque secondi; sempre, esattamente, invariabilmente, infallibilmente 11’+45’’. Gli altri quindici - secondi - sono indicativi; sono quelli necessari a rigovernare l’area pubica dopo l’atto, sia esso masturbazione, irrumazione con emissione in ore ovvero sodomizzazione. Per cui si può andare, in occasioni e luoghi tranquilli, dall’abbondante mezzo minuto e oltre per fare le cose per benino, lasciando anche al fellatore un certo tempo per assaporare il nettare proteico, indi curare la detersione della fava, ai 15 secondi per la necessità di riportare alla normalità la patta dei pantaloni entro l’arrivo della cabina nella stazione della Funivia.
Eh sì, signori miei, questi famosi DODICI minuti derivano proprio dal tempo di viaggio dell’impianto a fune di cui mi sono servito per anni, fino al trasferimento nella Capitale per gli studi universitari e successiva carriera politica, diventando parlamentare del P.E.N.E., il mitico, immenso, immarcescibile Partito Etico Nazionale di Emancipazione.
Come accennato, la stessa tempistica vale per una sodomizzazione come per un semplice raspone.
Allora, la modalità dipendeva dal vetturino esecutore della pratica: il VENTIQUATTRENNE neo-assunto imparò da me l’arte di mano, il maturo SESSANTENNE eccelleva per esperienza - oltre che per la dentiera amovibile, garanzia di assenza di dolorose interferenze anche con forti oscillazioni in presenza di vento -, infine il QUARANTOTTENNE - e qui mi perdonerete la scurrilità - con un culo da sballo che nemmeno mia moglie... eccetera.
Fu con quest’ultimo che scoprii di essere prevalentemente omosessuale. Di preferire il corpo maschile a quello pur stimolante di una donna.
Non ho mai capito se fosse stato lui a capire questa mia tendenza, io ad avere una certa attrazione oppure entrambi, all’unisono ammaliati l’un l’altro da un fluido sconosciuto.
Fatto sta che una ancor tiepida alba di ottobre mi vide, solo con il dipendente della funivia dentro la cabinetta, con l’uccello duro come non mai stantuffante nel suo sfintere. E quando egli gemette - “Vienimi dentro, dai, vienimi dentro che siamo al primo sostegno e stiamo per arrivare!” - la fretta e l’eccitazione ruppero il blocco e l’orgasmo esplose nelle sue profondità inondandolo di seme.
Poi fu la volta del secondo - il maturo - che mi insegnò quanto potesse essere paradisiaca la sensazione di una lingua saettante, magari anche sulle palle, di labbra dolcemente massaggianti, di risucchi fino in gola e finale scarica di fiotti di panna calda.
Qualche mese dopo potei festeggiare la mia prima ‘conquista’, convincendo e istruendo il ‘nuovo’ su come eseguire una pugnetta perfetta: la giusta pressione nell’avvolgere il fusto, ogni tanto scappellare per bene l’attrezzo, magari roteare un dito sopra il glande per spalmare il fluido preliminare, infine imparare come accompagnare la sequenza dei getti finali. Divenne tanto bravo, per cui più di una volta dovemmo ripulire velocemente il vetro della cabina, verniciato dal mio niveo secreto di coglioni.
Tutto questo - qualora ve ne foste dimenticati ma non credo - in DODICI minuti totali.
Oggi, giunto a trentotto anni di età - non TRENTASEI come Vi sareste aspettati, altrimenti non collimerebbero certi episodi con altri racconti del mio sacco - sono felicemente sposato con una deliziosa avvocatessa - questa sì di TRENTASEI anni -, ricavo però il mio vero piacere sessuale da uomini, sia occasionali ma soprattutto dal mio segretario personale, di OTTO anni più giovane di me: l’immancabile eccezione che conferma la regola.
Lo stesso identico tempo vale pure per qualche camerierino del Grand Hotel, fornitomi dal mio Facchino di Albergo preferito, il quale reperisce giovani di somma abilità nei servizietti orali come nelle chiavate di culo. Fantastici per rilassarsi dopo una noiosa ma massacrante giornata nell’Aula dei deputati o, peggio, in qualche stanzone di Commissione legislativa. Mi stendo sul letto, la linguetta del finocchietto prezzolato lambisce le sensibili parti del mio organo riproduttivo, seguono le labbra - quelle di quel nuovo arrivato, mi pare si chiami Diego, sono sublimi - e, dopo il tempo predestinato, gli spasmi muscolari trasformano in potenti zampilli l’emissione dello sciroppino delle mie gonadi; sciroppino che scenderà nella gola del corrotto dipendente dell’esercizio alberghiero. O forse invece poi sputato in bagno? Non so, non mi interessa: basta che si tolga presto di torno ché domani dobbiamo votare la legge sulla prostituzione maschile.
E il finanziamento per una nuova funivia che andrà a sostituire quella della mia gioventù. Il tempo di viaggio sarà di OTTO minuti, senza vetturino a bordo e capienza di SESSANTA persone. O tempora, o mores!
Giugno 2024
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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